Montecchioracconta

La presenza degli assenti

Le tracce non possono sostituire le voci,

ma sono anche tracce di parole scritte.

Il corpo grazie a loro si è fatto voce,

e qualcosa come uno spazio di ascolto si apre,

dove il silenzio primeggia.

Arlette Farge

 

Montecchio, 1930
Montecchio, 1930 (raccolta Franco Bezziccheri, Montecchio)

Questo volume nasce da una ferita. Ricostruire la storia e le storie di Montecchio significa infatti, inevitabilmente, confrontarsi con il ricordo dell’esplosione di un deposito di mine che nel 1944 distrusse quasi completamente il paese. Una sorta di evento fondante al negativo, che sembra aver cancellato insieme con le case anche i ricordi, fermandoli su un unico, tragico fotogramma. Montecchio è oggi, per tutti, il luogo dello scoppio: indagato, studiato e raccontato fino a cristallizzarsi in una serie di parole ben codificate, il momento dello scoppio si impone quale ineludibile punto di partenza della ricerca, e qualunque tentativo di spostare l’attenzione sul prima passa al vaglio dei minuscoli frammenti di verità che ognuno, dopo sessantacinque anni, ha ancora da aggiungere.

 

C’è poi un problema di metodo: la ferita del luogo origina una desolante scarsità di tracce, almeno per ciò che riguarda gli anni precedenti la II guerra mondiale. Il 21 gennaio 1944 è andato distrutto anche l’archivio parrocchiale, e con esso la possibilità di conoscere una parte consistente di quei sottili dettagli che delineano la vita dei centri minori: qualche raro documento riguardante la parrocchia di Santa Maria Assunta (copie delle relazioni dei parroci per le visite pastorali e alcune lettere) resta presso l’Archivio diocesano di Pesaro; materiale più consistente, sebbene in attesa di un ordine definitivo, è conservato nell’Archivio comunale di Sant’Angelo in Lizzola. Pochissime anche le immagini che documentano l’aspetto del paese prima del 1944: le cartoline si contano sulle dita di una mano, rimangono alcune superstiti fotografie dagli album di famiglia, mentre allo stato attuale delle ricerche non risulta nessuna raffigurazione pittorica di Montecchio prima del XX secolo, se non lo sparuto agglomerato di case rappresentato da Francesco Mingucci nel 1626.

Disponiamo però di una nutrita serie di Stati delle anime, che partono dalla fine del XVII secolo e che, confrontati con i registri dell’archivio comunale, consentono di conoscere quasi casa per casa gli abitanti di Montecchio tra il 1690 e oggi.

Nonostante la sua esiguità, il materiale disponibile suggerisce dunque una prospettiva precisa, e dalle pur scarse indicazioni emerge una lettura di Montecchio, paese lungo la strada. E’ dalla strada che ci guardano i montecchiesi delle cartoline anni Venti, ed è seguendo il parroco, il compilatore dei Libri d’Estimo dei Mamiani e gli incaricati dei censimenti che percorriamo le campagne della frazione di Sant’Angelo in Lizzola, incontrando gli antichi abitanti della piana del Foglia.  Ancora, lungo la strada troviamo nel ‘700 i forastieri di passaggio all’osteria o sul ponte nuovo, a testimoniare la vocazione agli scambi commerciali di una zona che è oggi uno dei più forti centri di industrializzazione della provincia pesarese. Lungo la strada, infine, significa anche vedere i luoghi con lo sguardo di chi cammina, ricomponendo grazie ai passi percorsi un sapere che solo per noi, distanti nel tempo, è frammentato: il passante che segue il corso del fiume, l’uomo della strada maestra, costruisce la propria visione del mondo, e anche se molti vivono e muoiono al villaggio, lo spazio all’interno del quale si inscrive la loro esistenza è uno spazio battuto, uno spazio di spostamento… quando si deve andare al mercato, alla fiera, senza contare le feste del borgo attiguo o le processioni che scandiscono il tempo e il paesaggio agricolo…*. Lungo la strada ritroviamo anche i montecchiesi del dopoguerra, curiosamente (o forse semplicemente allineati ai voleri del genius loci) disposti più o meno secondo gli stessi punti di vista che ricorrono nelle cartoline più vecchie; punti di vista adottati anche nelle fotografie scattate il 22 gennaio 1944, immagini di distruzione che l’occhio è portato a completare ritracciando le linee delle case e del paesaggio.

 

Un’ultima annotazione: dove possibile si è cercato di lasciare la parola ai documenti (in larga parte inediti) e alle immagini, per dar conto della vitalità di un luogo che, notava già Luigi Michelini Tocci, più volte ha saputo rinascere nel corso della storia; come in un film, tra flashback e dissolvenze, si è cercato di dare spazio alle voci dei protagonisti, per rispettare la multiformità di un tessuto territoriale in continua evoluzione, fedele alla configurazione fluida dei luoghi di scambio e di passaggio.

 

Concludo ringraziando il sindaco di Sant’Angelo in Lizzola, Guido Formica, che mi ha dato l’occasione di confrontarmi con un lavoro di stimolante complessità e i dipendenti del Comune di Sant’Angelo, che hanno collaborato alla realizzazione del volume a seconda delle loro competenze, in particolare Giovanni Ugoccioni che ha consentito la consultazione del ricco Archivio comunale e, soprattutto, Loredana Ercolani, inappuntabile coordinatrice del progetto. Infine, come sempre, il mio grazie va a tutti coloro che hanno accettato di raccontarci la loro storia, con le immagini, con le parole o anche con un solo, significativo dettaglio.

 

Cristina Ortolani - autrice del volume

 

 

* Arlette Farge, Il braccialetto di pergamena, ed. Sylvestre Bonnard, 2003, pp. 46 e 18-19.

 

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